Ed è di nuovo San Giovanni
da Ineja 1989
Puntuale come la dichiarazione dei redditi, inesorabile come le tasse… è di nuovo S. Giovanni.
Non che io non ami questa Festa, tutt’altro! E’ nelle mie radici più care; mi riporta alla mia infanzia, quando il 24 giugno era occasione di incontro festoso con gli zii ed i cugini, che venivano dai paesi vicini; era la festa, in un giorno in cui a Diano Marina ed a Porto Maurizio si lavorava; erano i giochi, la processione solenne ed alla sera la magia dei fuochi d’artificio. E la ritrovo ancora più lontano nel tempo, nel mondo celtico in cui una società agricola e pastorale trovava i suoi punti fissi per il computo del tempo nei due solstizi; quello d’inverno a dicembre, quello d’estate a giugno, e li festeggiava con riti solenni, più grandi e maestosi in estate, per la clemenza della stagione.
Erano sacrifici, banchetti e tanti fuochi che illuminavano la notte, quasi a prolungare, a “legare” ancora la luce del giorno più lungo dell’anno, riti che ancora oggi ripetiamo, inconsapevolmente, quasi immutati nel tempo. Per tutto ciò, io amo profondamente la festa del 24 giugno, solo che… mio marito fa parte del Comitato di S. Giovanni…
A dirlo, sembra niente; ce ne sono tante, oggi, di associazioni, circoli, congreghe, ma questo Comitato è qualcosa di particolare, una specie di Sindrome da S. Giovanni, una malattia altamente contagiosa, inguaribile, soggetta a ricadute periodiche, sempre più frequenti ed intense.
ll contagio avvenne nel 1980, ad opera di Sergio Lanteri; fu lui la causa di tutto, quando ebbe l’idea di riunire un gruppo di persone di buona volontà, per far rivivere le antiche tradizioni onegliesi.
Opera lodevole, certo, sotto ogni punto di vista, tanto che anch’io, allora, spinsi, se pur ce n’era bisogno, mio marito ad accettare. E là cominciarono i problemi. In verità, io pensavo ad un impegno relativo, breve nel tempo, per una festa rionale; non immaginavo nè la loro adesione appassionata ed incondizionata allo spirito della festa, nè la risposta corale della gente che sempre più numerosa, in quei pochi giorni di giugno, si ritrova sul Piazzale della Capitaneria, diventato ormai di S. Giovanni, a rinnovare antichi legami di amicizia e di ospitalità.
Ci si ritrova tutti là, per mangiare, la sera, con amici venuti magari da lontano, nella dolcezza del crepuscolo che lentamente scivola nella notte; è una magia che ti prende dentro, che suscita in tutti il desiderio di rinnovare l’incontro, ed infine è la stessa promessa: ci ritroveremo ancora qui, al prossimo S. Giovanni. E la Festa, anno dopo anno, cresce, ed in progressione geometrica cresce l’impegno dei Soci del Comitato di S. Giovanni. Riunioni a cadenza pressoché settimanale tutto l’anno, straordinarie a Dicembre per predisporre l’albero di Natale, la cioccolata calda offerta dopo la Messa di Mezzanotte sul sagrato della Chiesa, la visita agli anziani ospiti della Casa di Riposo: assemblee straordinarie per problemi particolari; presentazioni di nuovi Soci, ecc.
Non che io non ami questa Festa, tutt’altro! E’ nelle mie radici più care; mi riporta alla mia infanzia, quando il 24 giugno era occasione di incontro festoso con gli zii ed i cugini, che venivano dai paesi vicini; era la festa, in un giorno in cui a Diano Marina ed a Porto Maurizio si lavorava; erano i giochi, la processione solenne ed alla sera la magia dei fuochi d’artificio. E la ritrovo ancora più lontano nel tempo, nel mondo celtico in cui una società agricola e pastorale trovava i suoi punti fissi per il computo del tempo nei due solstizi; quello d’inverno a dicembre, quello d’estate a giugno, e li festeggiava con riti solenni, più grandi e maestosi in estate, per la clemenza della stagione.
Erano sacrifici, banchetti e tanti fuochi che illuminavano la notte, quasi a prolungare, a “legare” ancora la luce del giorno più lungo dell’anno, riti che ancora oggi ripetiamo, inconsapevolmente, quasi immutati nel tempo. Per tutto ciò, io amo profondamente la festa del 24 giugno, solo che… mio marito fa parte del Comitato di S. Giovanni…
A dirlo, sembra niente; ce ne sono tante, oggi, di associazioni, circoli, congreghe, ma questo Comitato è qualcosa di particolare, una specie di Sindrome da S. Giovanni, una malattia altamente contagiosa, inguaribile, soggetta a ricadute periodiche, sempre più frequenti ed intense.
ll contagio avvenne nel 1980, ad opera di Sergio Lanteri; fu lui la causa di tutto, quando ebbe l’idea di riunire un gruppo di persone di buona volontà, per far rivivere le antiche tradizioni onegliesi.
Opera lodevole, certo, sotto ogni punto di vista, tanto che anch’io, allora, spinsi, se pur ce n’era bisogno, mio marito ad accettare. E là cominciarono i problemi. In verità, io pensavo ad un impegno relativo, breve nel tempo, per una festa rionale; non immaginavo nè la loro adesione appassionata ed incondizionata allo spirito della festa, nè la risposta corale della gente che sempre più numerosa, in quei pochi giorni di giugno, si ritrova sul Piazzale della Capitaneria, diventato ormai di S. Giovanni, a rinnovare antichi legami di amicizia e di ospitalità.
Ci si ritrova tutti là, per mangiare, la sera, con amici venuti magari da lontano, nella dolcezza del crepuscolo che lentamente scivola nella notte; è una magia che ti prende dentro, che suscita in tutti il desiderio di rinnovare l’incontro, ed infine è la stessa promessa: ci ritroveremo ancora qui, al prossimo S. Giovanni. E la Festa, anno dopo anno, cresce, ed in progressione geometrica cresce l’impegno dei Soci del Comitato di S. Giovanni. Riunioni a cadenza pressoché settimanale tutto l’anno, straordinarie a Dicembre per predisporre l’albero di Natale, la cioccolata calda offerta dopo la Messa di Mezzanotte sul sagrato della Chiesa, la visita agli anziani ospiti della Casa di Riposo: assemblee straordinarie per problemi particolari; presentazioni di nuovi Soci, ecc.
Si arriva alla primavera; ad aprile, maggio gli incontri si intensificano, ed infine, a giugno, la sindrome esplode. C’è da preparare l’area per la Festa, pulire, montare gli stands, allestire le cucine, assemblare sempre nuove panche e tavoli, poiché quelli dell’anno precedente non bastano mai, riparare, costruire,“inventare” soluzioni a tutta prima impossibili. Tutto un lavoro di volontari, che nel tempo libero scavano, impastano, inchiodano si arrabbiano anche, però vanno avanti; sono impiegati, commercianti, pensionati, operai che si improvvisano carpentieri, muratori, falegnami e quant’altro serve per preparare tutto al meglio possibile, ed ogni anno la corsa, l’affanno, la preoccupazione di non finire in tempo, e poi… tutto è pronto e la Festa comincia…
Allora, non li vedi più: nei ritagli di tempo e finito il lavoro quotidiano (bisogna pur mangiare “carmina non dant panem”) spariscono: “Vado a dare un’occhiata sulla Festa” e non li vedi più.
Se li cerchi, devi andare laggiù: ci sono tutti; gente che, sono convinta, in casa propria a stento si piega il tovagliolo, laggiù sa fare di tutto. Si affaccendano con inesauribile energia: cucinano, sparecchiano, puliscono, servono bibite e patatine, e poi i giochi, l’animazione, la pesca di beneficenza, ogni settore ha i suoi infaticabili addetti. E gli amici, che ti dicono con benevola (spero) ironia: Ma che bravo, tuo marito come si dà da fare! Anche in casa ti aiuta così?”, e a te verrebbe voglia di strozzarlo, perché lo vedi che si affanna, cucina, pulisce, frigge, mentre in casa non solleva neppure uno spillo!!!
Ogni notte, poi, la pulizia generale: le pentole, il piazzale, tutto pronto per il giorno dopo, cosicché rientrano a casa per dormire sempre più tardi. Ricordo un anno, qualche estate fa, che mio marito tornava sempre più tardi: le due, le tre, le quattro, in una progressiva escalation che toccò le 5.30 del mattino. Quando mi svegliò per farsi aprire, perché naturalmente aveva dimenticato le chiavi, gli chiesi che cosa avesse fatto, fino a quell’ora. L’ingenuo mi rispose con tinto candore che era stato fino ad allora sul piazzale della Festa a… scopare, nel senso che si era attardato a terminare la pulizia.
Quel poco che rimaneva della notte, il furbino lo passò a cercare di dormire in macchina, dove, per fortuna, c’erano i sedili ribaltabili.
Così passa la settimana della Festa: di giorno li vedi sempre più stanchi e stravolti tirare avanti il solito lavoro; la sera te li trovi arzilli e pimpanti, farsi in quattro perché tutto fili liscio, nel migliore dei modi, felici di vedere la gente sempre più numerosa.
Finalmente, la Festa finisce, ma neanche allora stanno tranquilli; pochi giorni dopo, riunione generale per tirare le somme, analizzare l’andamento generale, correggere eventuali errori, esporre nuove idee e valutare nuove soluzioni, suggerite dall’esperienza appena trascorsa, e così, fino all’anno prossimo, quando… sarà di nuovo S. Giovanni.
Allora, non li vedi più: nei ritagli di tempo e finito il lavoro quotidiano (bisogna pur mangiare “carmina non dant panem”) spariscono: “Vado a dare un’occhiata sulla Festa” e non li vedi più.
Se li cerchi, devi andare laggiù: ci sono tutti; gente che, sono convinta, in casa propria a stento si piega il tovagliolo, laggiù sa fare di tutto. Si affaccendano con inesauribile energia: cucinano, sparecchiano, puliscono, servono bibite e patatine, e poi i giochi, l’animazione, la pesca di beneficenza, ogni settore ha i suoi infaticabili addetti. E gli amici, che ti dicono con benevola (spero) ironia: Ma che bravo, tuo marito come si dà da fare! Anche in casa ti aiuta così?”, e a te verrebbe voglia di strozzarlo, perché lo vedi che si affanna, cucina, pulisce, frigge, mentre in casa non solleva neppure uno spillo!!!
Ogni notte, poi, la pulizia generale: le pentole, il piazzale, tutto pronto per il giorno dopo, cosicché rientrano a casa per dormire sempre più tardi. Ricordo un anno, qualche estate fa, che mio marito tornava sempre più tardi: le due, le tre, le quattro, in una progressiva escalation che toccò le 5.30 del mattino. Quando mi svegliò per farsi aprire, perché naturalmente aveva dimenticato le chiavi, gli chiesi che cosa avesse fatto, fino a quell’ora. L’ingenuo mi rispose con tinto candore che era stato fino ad allora sul piazzale della Festa a… scopare, nel senso che si era attardato a terminare la pulizia.
Quel poco che rimaneva della notte, il furbino lo passò a cercare di dormire in macchina, dove, per fortuna, c’erano i sedili ribaltabili.
Così passa la settimana della Festa: di giorno li vedi sempre più stanchi e stravolti tirare avanti il solito lavoro; la sera te li trovi arzilli e pimpanti, farsi in quattro perché tutto fili liscio, nel migliore dei modi, felici di vedere la gente sempre più numerosa.
Finalmente, la Festa finisce, ma neanche allora stanno tranquilli; pochi giorni dopo, riunione generale per tirare le somme, analizzare l’andamento generale, correggere eventuali errori, esporre nuove idee e valutare nuove soluzioni, suggerite dall’esperienza appena trascorsa, e così, fino all’anno prossimo, quando… sarà di nuovo S. Giovanni.
Antonella Aicardi in Mazzia